L’Olivetti ELEA 9003, capolavoro dell’ingegneria informatica

di Bianca Sestini

 

L’Olivetti ELEA 9003, capolavoro dell’ingegneria informatica

Progettato e sviluppato tra il 1957 e il 1959, è stato il primo computer a transistor commerciale realizzato in Italia.

 

 

Il supercomputer dell’Olivetti conservato all’Isis “E. Fermi” di Bibbiena, nella provincia aretina, emana l’eleganza misteriosa di un fossile extraterrestre. Quando fu progettato, realizzato e messo in commercio alla fine degli anni ’50 lo battezzarono Elea 9003, sfruttando l’acronimo di ELaboratore Elettronico Aritmetico, il suo nome completo. Il team di ricercatori dell’impresa di Ivrea guidato dall’Ing. Mario Tchou abbinò in un unico oggetto l’innovazione tecnologica a un design d’eccellenza. Il primo calcolatore commerciale a transistor italiano era capace di gestire fino a tre programmi contemporaneamente e la sua estetica fu affidata all’architetto Ettore Sottsass, che vinse per l’occasione il premio Compasso d’Oro. Fare operazioni matematiche complesse era la specialità di questo macchinario, venduto in circa 40 esemplari in totale.

Tra gli acquirenti di allora anche la banca Monte dei Paschi di Siena, che più tardi decise di regalarlo all’Istituto superiore in provincia di Arezzo. «L’Elea 9003 che c’è qui in Casentino è oggi l’unico modello completo e ancora parzialmente funzionante al mondo», spiega Wladimir Zaniewski. Informatico appassionato di retrocomputing (ossia il recupero per il riuso di computer di vecchie generazioni), il suo è un ruolo chiave per il futuro del gigante Olivetti. Da quando ha scoperto la sua esistenza, quasi ogni settimana dedica da volontario una mattinata nel weekend alla manutenzione del computer. Dopo averlo acceso, seguendo le indicazioni fornite a distanza da due ex tecnici in pensione fa eseguire al calcolatore una serie di comandi, verificandone il corretto funzionamento. «Tante componenti dell’Elea devono essere analizzate e riparate. Nel corso del tempo qualcosa lentamente si è deteriorato», aggiunge Zaniewski, che è anche uno dei principali sostenitori di un progetto di tutela e valorizzazione incentrato sul computer.

Lui e un gruppetto di entusiasti ammiratori della macchina hanno pensato di mettere in piedi un’associazione attraverso cui prendersene cura, coinvolgendo istituzioni nazionali, regionali e locali, aziende, scuole, operatori della cultura e del turismo. Conservare il calcolatore e promuoverlo offrirebbe non solo alla Toscana ma all’Italia intera un nuovo polo attrattivo in grado di accogliere visitatori, studenti, esperti e ricercatori. Del resto, il valore del computer sia dal punto di vista ingegneristico che di disegno industriale smuove l’interesse di enti prestigiosi del settore. «Si sono già fatti avanti per averlo il Museo degli Strumenti per il Calcolo di Pisa e il Museo della Scienza e della Tecnologia ‘Leonardo da Vinci’ di Milano». Lo dice Mauro Ballabeni, ex olivettiano doc e membro del comitato promotore dell’associazione in cantiere. «In entrambi i casi, se noi spostassimo la macchina da Bibbiena metteremmo un cadavere in mostra. Si potrebbe raccontare che cosa faceva, ma non far vedere che cosa fa». «Sappiamo benissimo che, se la si porta via, la si distrugge», gli fa eco Wladimir. «Le centinaia di cavi, cavetti e collegamenti saldati si sono induriti e si rischierebbero rotture multiple impossibili da riparare, per alcuni componenti delicati non ci sono nemmeno più le competenze per aggiustarli».

Per porre rimedio all’usura serve il lavoro di squadra di tutti i soggetti disposti a scendere in campo per mantenere in vita l’Elea 9003, scuola e Comune in primis. Oltre a preservare il supercalcolatore e farlo scoprire al grande pubblico, l’urgenza riguarda lo studio e la divulgazione delle conoscenze tecnico-pratiche per farlo funzionare. Gli esperti che hanno partecipato alla sua progettazione e manutenzione ordinaria hanno superato gli 80 anni e Zaniewski vede come una priorità l’esigenza di raccogliere in tempo il loro sapere in estinzione. C’è bisogno di una rete di custodia che permetta di finanziare la codificazione di queste nozioni, la loro trasmissione e diffusione. «Chi me lo fa fare?», si domanda Wladimir. «Mi dispiacerebbe troppo non dare un’opportunità all’Elea, perché sono sicuro che una volta che non ci fosse più la possibilità di salvarlo ne parleremmo come l’ennesima occasione persa italiana di cui ci siamo pentiti».

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