La pittura americana e l’informale in Europa

di Luigi Polillo

Curatore e critico d’arte,  si laurea in Storia e Conservazione dei Beni Culturali con indirizzo storico-artistico e prosegue il suo percorso ampliando gli studi in Scienze filosofiche con indirizzo etico-estetico. Organizza eventi artistici e culturali. Affina sempre più la sua ricerca sulle Neoavanguardie sviluppatesi negli anni ’60 e ’70 sino alle ultime tendenze artistiche. Collabora con riviste specializzate del settore.

Negli anni della guerra, tra il 1939 e il 1945, l’Europa fu divisa in due campi avversi, gli artisti erano dispersi e la diffusione delle idee determinanti per l’evoluzione della cultura fu bruscamente interrotta. L’America ebbe il privilegio di non essere terreno di scontro e quindi divenne rifugio per molti artisti europei; soprattutto città come New York, accolsero artisti sfuggiti alle persecuzioni naziste come Mondrian, Ernst, Breton e molti esponenti del Bauhaus come Walter Gropius e Marcel Breuer. New York, pertanto, in quegli anni assunse un ruolo cruciale per la crescita e l’evoluzione artistico-culturale.

Nella pittura d’avanguardia si svilupparono tre correnti di fondamentale importanza differenti tra loro, ossia l’espressionismo, l’astrattismo e il surrealismo. La caratteristica dell’espressionismo astratto o di action painting (“pittura d’azione”) era la velocità di esecuzione che comportava il movimento rapido, oltre che della mano, di tutto il corpo. Per quanto riguarda la pittura astratta non geometrica, l’informale, di cui Jackson Pollock, Willem de Kooning e Franz Kline furono i maggiori iniziatori, escludeva la forma. Il surrealismo, coinvolgerà numerosi artisti che creeranno qualcosa di completamente nuovo nel mondo dell’arte, instaurando un legame con la psicologia ed il concetto di inconscio. Anche in Europa, dunque, nel dopoguerra, si affermano l’informale e l’espressionismo astratto per lo più di tipo segnico. L’informale viene definito da Giulio Carlo Argan non come una corrente, meno che mai una moda, ma una situazione di crisi, e precisamente della crisi dell’arte come “scienza europea”, momento di quella più vasta “crisi delle scienze europee” che Husserl descrive come caduta della finalità o del “telos innato nell’umanità europea dalla nascita della filosofia greca, e che consiste nella volontà di essere un’umanità fondata sulla ragione filosofica”.

Vorrei soffermare la mia attenzione sulla profonda drammaticità di uno dei pilastri dell’arte contemporanea internazionale, ossia Pierre Soulages, definito pittore del nero, presente in tutti i maggiori musei del mondo, nato in Francia, una delle nazioni che possiede un enorme patrimonio artistico, partendo dai grandi maestri del classicismo e dell’impressionismo, sino all’affermazione, nel XX secolo, dell’arte moderna e delle avanguardie come il fauvismo e il cubismo sviluppatesi nella capitale per eccellenza, Parigi. Nel 1947 Soulages inizia la sua attività espositiva; il suo percorso linguistico è espresso dalla sperimentazione del colore nero e dal rapporto che esso ha con i riflessi della luce; proprio la luce, quest’ultima, diviene l’elemento fondamentale dell’atto pittorico. La poetica gestuale di Soulages si accosta dunque all’informale e all’espressionismo astratto. Egli è considerato il più grande artista vivente al mondo; provo una particolare predilezione per il suo operato e per la sua dedizione al nero che diviene elemento portante della sua vita e del suo linguaggio artistico.

Oggi, più che mai, bisognerebbe riflettere sull’importanza che l’arte contemporanea ricopre nella società attuale e sul suo risonante potenziale, il quale potrebbe costituire la base di una continua trasformazione trascendentale e generazionale dell’individuo che, direttamente o indirettamente, contribuirebbe di seguito a rimodellare l’assetto di un territorio incentrato appunto su una visione cosmopolita dell’arte all’interno della societas.

 

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