“Dal baco alla seta”, una storia che deve continuare.

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“Dal baco alla seta”, una storia che deve continuare.

 

 

La sua fama è indissolubilmente legata ad Andrea Cefaly, tra i maggiori pittori calabresi; ma Cortale – centro di poco più di duemila abitanti situato lungo l’Istmo di Catanzaro – è anche nota per la bellezza e il prodigio contenuti nel filo di seta, di cui è antica custode.

È risaputo che sin dall’epoca bizantina la Calabria producesse, un po’ dovunque, una seta eccelsa. E se Catanzaro, “onde in modo vi si stabilì l’arte”, primeggiò per secoli sui mercati europei grazie ai suoi settemila setaioli, la cui eccellenza fu suggellata nel 1519 col Consolato dell’Arte della Seta riconosciuto da Carlo V, non bisogna trascurare il prezioso apporto di tanti villaggi del circondario. Cortale su tutti.

Ed è proprio qui che ancora oggi possiamo fortunatamente incontrare storie come quelle dei coniugi Nicola Procopio e Marianna Bertuca, titolari di un’azienda la cui ispirazione è tutta racchiusa nel nome: “Dal baco alla seta”.

Infatti, da quanto ci è dato sapere, Nicola e Marianna sono una sorprendente rarità in Italia: svolgono l’intero ciclo di lavorazione serica – nessun passaggio escluso – iniziando  dall’allevamento dei bachi fino a giungere al confezionamento del prodotto finito, passando per la “salita al bosco” (il baco espelle un filamento e la sericina, per poi rinchiudersi nel bozzolo), per la trattura (i bozzoli vengono messi in acqua calda dando origine al filo grezzo), per la torcitura (trasformazione delle matasse in fili rotondi e resisenti). Le matasse torte vengono poi legate e fatte bollire con un sapone naturale, così formandosi delle matasse di seta pronte per essere lavorate al telaio, all’uncinetto o a macramé (parola derivante dall’arabo “mahramatun” che significa “fazzoletto”, il cui nesso con la forma dialettale calabrese di “maccaturi” non sfugge).

Tutto fatto in casa; tutto dalle stesse mani; tutto nello stesso territorio: quando si dice la filiera corta…anzi cortissima! La famiglia Procopio cura davvero tutte le fasi, ciò che esprime la cifra dell’unicità del progetto “Dal baco alla seta”, laddove invece, normalmente, le aziende del settore si occupano soltanto dell’allevamento, o soltanto della trattura, o soltanto della torcitura, o soltanto della tessitura.

La conduzione familiare è rigorosamente incentrata sull’artigianalità della lavorazione in ogni suo momento, con una cura maniacale di tutti i processi che non lascia spazio all’approssimazione.

Osservando gli occhi di Nicola e Marianna, quando parlano di telai e seta, si ha la percezione di essere davanti non già ad imprenditori quanto a persone che hanno operato una scelta di vita fondata sulla bellezza. La bellezza e la magia che un filo di seta può esprimere. Non è un caso che quando si sposarono, nel 1986, indossarono entrambi abiti nuziali di seta naturale realizzati in famiglia.

La loro è una storia trentennale, giacché il marchio “Dal baco alla seta” fu registrato nel 1987; ma a dirla tutta, questa azienda è il frutto e la prosecuzione sapiente di una storia ben più lunga e affascinante che affonda le radici nelle generazioni precedenti delle rispettive famiglie. Una storia che rimanda ad un mondo contadino che non c’è più, con le sue suggestioni e il suo incanto, che informa di sé anche attraverso la deliziosa collezione di attrezzi antichiqui conservati.

È in questo humus che Nicola e Marianna crescono ed accrescono la loro passione per la seta. La mamma di lui era dedita all’allevamento del baco; la mamma di lei si occupava, e tuttora lo fa, della trattura e della tessitura, ma già la nonna gestiva un allevamento di bachi in un casolare delle campagne di Cortale. D’altro canto, l’allevamento dei bachi è stata di sovente un’attività collaterale dei nostri contadini dal momento che il gelso è presente nel territorio, ragion per cui, in qualche modo, ne occorreva ricavarne un indotto.

Attualmente Nicola si occupa della preparazione del filo mentre Marianna è diventata bravissima nella rifinitura dei tessuti. I primi prodotti realizzati trent’anni fa – che comunque continuano tuttora ad essere il perno della produzione di questa meravigliosa presenza artigianale – furono copriletti, copricuscini, centrini, a cui oggi si affiancano segnalibri, bracciali, collane, scialli. Tutti prodotti di alta artigianalità e di una tale raffinata bellezza da aver colpito nel 1999, fra gli altri, anche l’interesse dell’allora ambasciatore britannico in Italia, Richardson, il quale con la consorte raggiunse Cortale per una visita privata all’atelier dei coniugi Procopio. Ne seguì un entusiastico articolo di stampa scritto proprio dalla moglie dall’ambasciatore e pubblicato su una rivista americana di settore, nonché un attestato ufficiale di congratulazioni nel quale Richardson, rivolgendosi a Nicola, scrive: “Abbiamo tutti ammirato il suo lavoro. Ha attraversato numerose difficoltà per mantenere viva l’industria della seta in Calabria attraverso l’intero ciclo di produzione. Auguro a lei e alla sua signora ogni possibile successo per il futuro”.

Ecco: in poche righe quell’ambasciatore ha perfettamente sintetizzato una bellissima storia, la quale, assieme ad altre iniziative pregevoli, merita maggiore attenzione da parte di enti, soggetti e istituzioni che dovrebbero quanto meno veicolare con orgoglio e con strategie adeguate le eccellenze presenti nella nostra regione. Un supporto che consentirebbe non solo di far proseguire tali progetti nel futuro, ma anche generare indotto culturale, turistico, economico ad un territorio che con queste cose, e di queste cose, potrebbe magnificamente vivere.

 

 

Fabio Lagonia

 

 

 

 

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