di Daniela Rabia
Elia Banelli firma con L’uomo dei tulipani, edito Alter Ego, il suo esordio letterario. «Tutti nascondono un segreto, specialmente in provincia. E quella cittadina all’apparenza così perfetta, avvolta nella nebbia di una valle umida, non poteva considerarsi immune»: l’autore ci introduce in una piccola città dell’Umbria, Città di Castello, per avviluppare le nostre menti di lettori curiosi e attenti nella nebbia del mistero. Incidenti o omicidi? Casualità o piano criminoso ben congegnato? Da abile narratore, Banelli alimenta il dubbio, fa crescere la suspense e tiene col fiato sospeso chi si approcci al suo romanzo un po’ per scelta narrativa obbligata, un po’ per non togliere il gusto della lenta condivisione della scoperta della verità. Franco Laganà, protagonista del racconto, diventa subito un amico, un uomo per cui fare il tifo, un punto di riferimento imprescindibile. Una storia ricca d’intrecci che lascia spazio a messaggi profondi attraverso una penna snella e incisiva. Se centrale è il mistero, non resta fuori l’amore, motore di tutte le cose. Per Marc Augé «la scrittura lega le parole e gli esseri, gli esseri tramite le parole, il lettore all’autore e i lettori tra loro» ed è proprio questo che accade nel libro L’uomo dei tulipani, nelle cui pagine si resta legati; di più, intrappolati, fino alla sensazione di liberazione che si ha nel finale con la scoperta della verità.
Finalista alla I edizione del Concorso letterario “Residenze Gregoriane”, sezione narrativa inedita, il testo di Elia Banelli ha, tra gli altri, il pregio di farci penetrare nei meandri dell’animo umano dei diversi personaggi, di farci conoscere la bellissima cittadina umbra di Città di Castello, di farci unire ad una ad una le tessere di un mosaico: «Un passo alla volta… Tutto torna: il vaso, il testamento, la premeditazione…». Non manca l’ironia, indispensabile per alleggerire il racconto che si snoda su 62 capitoli e 315 pagine in cui il giovane scrittore vince la sfida non facile di non far calare l’attenzione del suo lettore. Se, come conclude nei ringraziamenti finali Banelli, scrivere un romanzo è un’esperienza unica che non si esaurisce nella solitudine di una stanza, certamente leggerlo è al pari un’attività che apre la mente su uno scenario inimmaginabile e apre porte e finestre della stanza fisica in cui si compie verso spazio e tempo illimitati.
Ultimo ma non ultimo è presente, nel corso del racconto, il silenzio, intervallo necessario al pensiero, momento magico tra le righe per riflettere sui passaggi, meditare sul senso della storia, intuire, capire, gustare a pieno lo stile descrittivo e la trama. Un romanzo musicale e armonico come s’intuisce dal richiamo in epigrafe ai versi iniziali della canzone “La guerra di Piero” di Fabrizio De Andrè. «Si dice che le persone migliorino nel corso del tempo. A volte, invece, peggiorano e basta. Diventano più ciniche, egoiste, infami», ci ammonisce nel prologo l’autore prima di lasciare spazio alla narrazione e soprattutto di lasciare libero il suo lettore di scegliere da che parte stare. Di andare verso il buio del crimine o verso la luce della scoperta. Di procedere in negativo o in positivo. Di crescere nei sentimenti o di fermarsi. Di unirsi agli altri o di isolarsi. Di tracciare confini o eliminare barriere e abbattere muri. Di pensare male o bene, rammentando che per Thomas Mann “scrivere bene significa quasi pensare bene, e di qui ci vuole poco per arrivare ad agire bene”.