La corsa all’Artico

Energia, ecologia, commercio e trasporti al centro di una fondamentale questione geopolitica

di Domenico Letizia – storico e giornalista

La stabilità della regione artica è attualmente tra le tematiche internazionali di notevole interesse. Per Canada, Danimarca-Groenlandia, Norvegia, Russia e Stati Uniti ci sono diverse opportunità da analizzare e scrutare con attenzione, ma tutto ciò rappresenta anche una grande sfida in termini di sicurezza, energia, tutela ambientale e trasporti commerciali. I ghiacci continuano a sciogliersi aprendo un corridoio diretto per il commercio internazionale. La Cina guarda con interesse a Groenlandia e Islanda come hub commerciali e marittimi locali, investendo già nella costruzione di un centro di ricerca in Islanda, oltre a registrare un lavoro immenso dell’Ambasciata cinese in Islanda, e suggerendo un porto d’altura per il nord del Paese. Asia, Europa e America sono collegate nella zona da un nuovo mare, emerso nel giro di pochi anni a causa del progressivo scioglimento dei ghiacci. Ma, i protagonisti, e coloro che vogliono divenire protagonisti della geopolitica dell’Artico, iniziano a divenire tanti e variegati. Il ministro saudita dell’Energia, Khalid Al-Falih ha annunciato al “Forum indiano dell’energia” a Delhi che l’Arabia Saudita, attraverso la controllata Saudi Aramco, è aperta all’idea di commercializzare gas naturale liquefatto prodotto dal progetto Russian Arctic Lng 2. Nel dicembre del 2017, la prima nave cisterna cinese ha caricato gas naturale liquido. Ma la rotta nordica, di fatto, è controllata dalla Russia, che nonostante il grande avvicinamento alla Cina contemporanea, resta sempre una potenza militare che potrebbe mettere in qualche modo a rischio gli approvvigionamenti.

Le imprese cinesi hanno investito in diversi progetti in Groenlandia, tra cui una miniera di uranio nel sud della Groenlandia e una miniera di ferro vicino alla capitale, Nuuk. Questo tipo di investimento economico è stato visto come una spinta all’economia locale. Ma nel 2016, una società cinese ha tentato di acquistare una ex base militare statunitense, e il governo danese è intervenuto, ponendo il veto all’accordo. Oggi i danesi temono che la Cina possa acquisire un’influenza sufficiente ad allontanare la base militare statunitense di Thule, situata sul lato occidentale della Groenlandia, che ospita diverse risorse strategiche vitali per la difesa Usa. Le rotte marittime e le risorse energetiche della regione artica, pertanto, si sono andate configurando sempre più come uno snodo centrale di conflitti ed interessi, determinando quella che viene definita la “corsa all’Artico”. Nel 2018, con la pubblicazione dell’Arctic White Paper è stata confermata la volontà della Cina di partecipare non solo allo sfruttamento delle immense risorse naturali, ma anche alla “governance” di questa area immensa per lo sviluppo di rotte commerciali. L’intento è essenzialmente quello di costruire un protagonismo centrale nel consesso delle nazioni che siedono nel Consiglio Artico, con l’obiettivo di diventare una “potenza artica” entro il 2050.

In tale ottica va letta la recente azione del vice ministro degli Esteri, Kong Xuanyou tesa ad incoraggiare le compagnie cinesi che intendano fare affari in tutta la regione, per costruirvi infrastrutture o poli turistici. Inoltre, preoccupa l’espansione militare russa nella regione con la sua flotta di navi e sottomarini che il Cremlino ha stanziato nell’Artico, oggi ai massimi storici dal crollo dell’Unione Sovietica. Intanto, la diplomazia resta la protagonista della regione. Come recentemente dichiarato dal già ministro, presidente della Sioi, Franco Frattini, “il Consiglio Artico è una delle poche occasioni che ci sono al mondo di ragionare di affari internazionali in modo non conflittuale. Se si apre una escalation di proliferazione nella regione artica il primo che ci rimette è l’Artico”.

In tale non semplice contesto, l’Italia opera per la tutela dei propri interessi, potendosi avvalere di un’efficace attività diplomatica, come svolto in passato dall’ambasciatore Giorgio Novello e attualmente dall’ambasciatore Alberto Colella, e di riconosciute capacità tecnologiche, in particolare nel settore dell’estrazione petrolifera in ambienti ostili. Per comprendere il lavoro diplomatico italiano per la tutela dell’Artico, per una visione sostenibile dell’ambiente e del rapporto dell’uomo con la natura dei ghiacci, è importante ricordare l’ottima interlocuzione esistente con la Conferenza dei Parlamentari della Regione Artica (Cpar), un organismo che raccoglie membri designati dai Parlamenti degli otto Stati membri del Consiglio Artico. L’Italia continua a sviluppare ricerca scientifica nella zona. Recentemente, il Capo di Stato Maggiore della Marina, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, con la partecipazione dell’ambasciatore del Regno di Norvegia in Italia Margit Tveiten, ha presentato il triennio di attività “High North” (2017-2019), un programma di ricerca in Artico condotto dalla Marina al fine di consolidare e  sviluppare i risultati della ricerca scientifica, in particolare nello studio delle metamorfosi climatiche in aree di particolare interesse. La missione è stata possibile grazie alle capacità della nave Alliance di operare nelle regioni polari a conferma della consolidata flessibilità operativa della Marina Militare che, nell’ambito delle sue funzioni complementari, è in grado di svolgere attività di ricerca con diversi partner nazionali ed internazionali. In particolare, l’Istituto Idrografico della Marina è attore importante nei consessi internazionali. La professoressa Roberta Ivaldi, docente di Geologia marina e coordinatrice scientifica del programma ricerca, che ha preso parte alle tre Campagne “High North”, ha fornito i seguenti dati della missione: 189 Stazioni di misura effettuate; 21 siti di campionamento di sedimento; 234 campioni per la caratterizzazione della massa d’acqua; 120 immagini satellitari radar; 12 missioni di mezzi autonomi aerei e 10 subacquei; 6427 chilometri quadrati di fondali esplorati.

La Norvegia sostiene una politica inclusiva del Consiglio Artico, favorendo l’entrata di membri e Paesi osservatori non artici, come l’Italia, con la quale condivide l’approccio tradizionale a scrutare l’Artico come spazio deputato per una eccellente collaborazione internazionale. Esempio di tale strategia è lo status dell’arcipelago delle isole Svalbard, assegnate alla Norvegia dal Trattato di Parigi del 1920, fatti salvi diritti particolari in capo alle altre potenze firmatarie, che erano essenzialmente i vincitori della Prima guerra mondiale riuniti nel Consiglio della Società delle Nazioni, tra cui gli Stati Uniti, la Francia, la Gran Bretagna e l’Italia; tali diritti sono stati estesi agli altri firmatari del Trattato, in tutto oggi 42, che hanno diritto di stabilimento e di libertà di esercizio di attività economica in condizioni di assoluta parità con i cittadini norvegesi.

La centralità di nuove politiche ecologiche e le nuove proposte della blue economy lanciate per la nostra crescita globale pone al centro dell’attenzione internazionale il tema delle acque, della ricchezza del mare e della fragilità dell’ecosistema artico, che risulta sempre più in pericolo. Per sopravvivere necessitiamo dell’Artico e del più grande serbatoio d’acqua al mondo. L’acidificazione delle acque dell’Oceano Artico va diffondendosi rapidamente, suscitando l’attenzione da parte del Consiglio Artico che tenta di richiamare la comunità internazionale sulla tematica e denunciando le conseguenze globali di tale fenomeno. Le analisi e il monitoraggio delle acque artiche effettuati dal gruppo di lavoro di AMAP sono state recentemente supportate dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) che condivide le preoccupazioni del Consiglio Artico.

L’oceano ha assorbito circa un quarto dell’anidride carbonica emessa dalla combustione dei combustibili fossili di tutto il nostro globo. In una società fortemente legata alla biodiversità marina, l’acidificazione degli oceani altera non solo la chimica delle acque, ma anche i mezzi di sussistenza, le prospettive di pesca e acquacoltura, le culture e le identità dei numerosi protagonisti della regione artica. Tali cambiamenti, già ampiamente documentati e con il continuo lavoro di ricerca scientifica ancora in atto, sono sempre più preoccupanti e gravi. Il futuro della blue economy per numerose regioni artiche e del nord Europa è a rischio e tale fenomeno sta generando mutamenti anche nel sud del mondo e nella acque del Mediterraneo.

 

La Corsa all’Artico

recensione a cura della nostra redazione

Questo recente saggio di Domenico Letizia, pubblicato per i tipi di Youcanprint, fa il punto in maniera accattivante sulle problematiche e le prospettive di un’area del pianeta di grande interesse per lo sfruttamento delle risorse marine e per le piattaforme sottomarine. Nel Circolo Polare Artico è presente il 30% delle risorse di gas naturale mondiale e il 15% di petrolio. Si tratta di un contesto geografico divenuto sempre di più oggetto di interessi geopolitici ed economici. «Un volume importante non solo per i contenuti, ma per l’ispirazione. La Corsa all’Artico come un campanello di allarme che richiama alla memoria la corsa agli armamenti tra gli Usa e la Russia che, dopo tanto tempo, si era riuscita a superare ma con Trump ritroveremo nuovamente tra i problemi dell’umanità», ammonisce nella prefazione il presidente della Fondazione UniVerde e già ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio. Canada, Danimarca, Islanda, Norvegia, Russia, Stati Uniti e Italia mantengono alta l’attenzione attraverso la sottoscrizione di vari accordi di natura diplomatica ed economica. Lo Stato norvegese in particolare gioca un ruolo molto importante in tale scenario, poiché forte investitore nel campo della sperimentazione di tecnologie per la minimizzazione dei rischi ambientali. La Norvegia è al terzo posto, dopo Stati Uniti e Canada, per il numero di pubblicazioni scientifiche sulla conoscenza dell’Artico. Inoltre, non va dimenticato che l’Artico è un oceano circondato da Asia, Europa ed America, con accessi relativamente stretti agli altri oceani: in tal senso possiamo scrutare analogie col Mediterraneo, ugualmente circondato da tre continenti (Asia, Europa e Africa) e separato abbastanza nettamente dall’Oceano Atlantico.

 

 

 

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