Amistad, una sentenza per la libertà

di Egidio Chiarella

Un fatto inatteso cambiò in profondità la società statunitense ed avviò a favore di tutta l’umanità un percorso di libertà. Ventotto giugno1839 – nove marzo 1841. Si tratta di una sentenza che rivoluzionò in quegli anni la politica degli Stati Uniti, aprendo un varco di democrazia matura, segnando una svolta nel campo dei diritti umani. Un atto giuridico che impedivadi vendere carne umana viva, come fu per gli schiavi catturati in Sierra Leone nel giugno del 1839, trasportati illegalmente dalla nave portoghese Tecora. Condannati da una sentenza del sette gennaio del 1840; resi liberi nello stesso anno da un ricorso accolto con favore dal Tribunale competente; finirono dinnanzi  alla Suprema Corte degli Stati Uniti d’America che li liberò in modo definitivo. Si sta parlando di individui distrutti nel fisico; malnutriti, ammassati e incatenati;umiliati nella propria dignità;colpiti allo stomaco, al cuore e nella mente con il veleno razzista della indifferenza sociale. Erano in cinquantasei e furono venduti al mercato dell’Avana, a Cuba, territorio in mano alla Regina di Spagna Isabella II. Comprati da spagnoli e dislocati sulla nave negriera “Amistad”, battente bandiera spagnola, imbarcazione per le rotte commerciali ed attrezzata a bordo per ogni tipo di merce, subirono insopportabili carenze logistiche.

È da questa nave che parte un grido di uguaglianza tra gli uomini; un grido forte capace di oltrepassare parte dell’oceano ed entrare nelle aule di giustizia americana. Comincia tutto nella notte tra il 30 giugno e il 1° luglio del 1839 quando, durante il viaggio, era scoppiato l’ammutinamento degli schiavi, capeggiati da Sengbe Pieh, conosciuto negli Stati Uniti col nome di Joseph Cinque.

Fu preso a quel punto il controllo dell’Amistad e si ordinò all’equipaggio di cambiare rotta e dirigersi verso l’Africa. Gli spagnoli promisero a parole di fare quanto richiesto, ma approfittando della ignoranza in materia degli ammutinati navigarono invece lungo le coste americane, dove li catturò la Marina Militare degli Stati Uniti. Scesi a terra, nello Stato del Connecticut nel Nord orientale del Paese, per loro si aprirono le porte del carcere. Come già detto il 7 gennaio del 1840 i ribelli africani furono condannati. Non si tenne conto di come erano stati trattati durante il viaggio e come furono caricati a bordo, usando la forza più assurda fuori da ogni diritto naturale.Una forte ondata di risentimento popolare bocciò quella sentenza disonorevole. Scesero in campo tutti quei numerosi cittadini che erano già motivati contro ogni forma di schiavitù e attenti nel seguire l’evoluzione politica in America sul tema dei diritti umani. Su queste basi nacque il comitato dell’Amistad per impugnare la sentenza del tribunale. Si voleva a tutti i costi far liberare i prigionieri e sensibilizzare gli Stati Uniti sulla abolizione della schiavitù. Il “ricorso” andò bene. L’interprete designato, molto bravo, fu in grado di far mettere in piedi una perfetta strategia difensiva. I giudici si erano resi conto di quanta violenza fu seminata nel momento della loro cattura e come l’ammutinamento non era stato altro che un gesto di legittima difesa, per poter rivendicareil loro diritto alla libertà. Anche la regina Isabella II di Spagna che aveva chiesto la restituzione dei prigionieri dovette prendere atto di quel giudizio. Ma per i poveri africani non era ancora finita. Il presidente americano in carica supportò la decisione dell’accusa di appellarsi (era il 23 febbraio del 1840), davanti alla Suprema corte degli Stati Uniti, consegnando nuovi motivi accusatori. Il difensore fu John Quincy Adams ex presidente degli Stati Uniti. Da politico accorto il presidente in carica cercò di evitare uno scontro con il Sud del Paese propizio allo schiavismo, reggendo buone relazioni con la potente regnante spagnola. Le elezioni presidenziali ormai alle porte spingevano Martin Van Buren a concentrarsi sulla sua rielezione, attento a non disfare i rapporti dentro e fuori i confini americani. La Corte Suprema pronunciò il verdetto tanto atteso l’otto marzo 1841. Gli schiavi processati non erano  più schiavi! Potevano tornare in Africa a loro spese o restare in America, dove avevano vinto la più grande battaglia della loro vita. Il loro diritto alla libertà, sancito dall’organo supremo statunitense, diventò una pagina generatrice per le democrazie instabili che avanzavano nel mondo. Lo storico americano Marcus Rediker in uno dei suoi successi editoriali pubblicava nel 2013 La ribellione della Amistad. In questo libro l’autore dimostra, alla luce di fonti originali, come uno sparuto e coraggioso gruppo di uomini  abbia saputo giocarsi la carta decisiva della propria vita. La battaglia vinta venne definita da Rediker epica, perché capace di sconfiggere schiavisti americani e spagnoli, compresi i loro governi.

Una sentenza può cambiare la storia. Al centro resta l’uomo con il suo materialismo iperconnesso  privo di cielo o con il suo spessore culturale, liberale e spirituale dialogante con l’eterno che sovrastala terra e ben indirizza ogni individuo.

 

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