Page 7 - Mediterraneo e dintorni - nr 24
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L’EDITORIALE/EDITORIAL
                                                                                               di Fabio Lagonia


















                             Se esiste un posto sulla Terra dove poter avvertire la sensazione
                             di trovarsi in un altro pianeta, quel posto non può che essere la
                             Cappadocia. Situata un poco più ad ovest di quell’area mitica che
                             fu la Mesopotamia del  Tigri e dell’Eufrate, i cui toponimi rimandano
                             di filato ai ricordi e alla conoscenza appresa sui banchi delle scuole
                             elementari, è in questo angolo di mondo che la fantasia della natura
                             si fa più bizzarra, amalgamandosi con l’abile maestria dell’essere
                             umano che è riuscito  ad adattarsi con armonia e delicatezza alle
                             stravaganze  di questo territorio. Un luogo fiabesco e surreale. Una
                             morfologia unica ed irripetibile.
                             Della Cappadocia sono tantissimi gli elementi che colpiscono e
                             impressionano: questa è terra di canyon, grotte, rocce multicolori, siti
                             rupestri. Ma ci sono due cose,  fra di loro antitetiche, che colpiscono
                             in modo particolare: da una parte la presenza di strani e improbabili
                             pinnacoli di origine lavica, conosciuti col soave nomignolo di “camini
                             di fata”; dall’altra le numerose città sotterranee costruite da antiche
                             civiltà. I primi guardano al cielo, protendendosi dichiaratamente
                             verso l’alto con la loro strana forma appuntita come cappucci; le
                             seconde si inabissano nel sottosuolo per decine e decine di metri, in
                             un vertiginoso, nerboruto e inverosimile intreccio di tunnel scavati col
                             favore della roccia tufacea, nascondendosi al mondo soprastante.
                             Gli uni sono il frutto del perseverante procedere della natura lungo
                             milioni e milioni di anni;  le altre sono figlie dell’ingegno e del lavoro
                             umano spinto dalla necessità: “homo faber fortunae suae“ dicevano
                             i latini, e poi anche gli umanisti. In effetti l’uomo qui ha scavato e
                             ha fatto tanto per trovare una propria dimensione di convivenza, di
                             sopravvivenza. E di conoscenza. Ma, uscito fuori, quei pinnacoli sono
                             sempre lì a ricordargli chi veramente è.
























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