Carta Bianca – Carlo Lucarelli, recensione di Elia Banelli

elia banelli

*di Elia Banelli*

“Questo voglio proprio che qualcuno lo legga” era il profetico auspicio di un trentenne aspirante scrittore che dopo aver inviato decine di manoscritti (e ricevuto decine di rifiuti) si sentiva finalmente pronto per il salto ufficiale nel mondo dell’editoria. Quando arrivò la telefonata della signora Elvira Sellerio il suo sogno di colpo si materializzò. 

“Carta Bianca” è il primo libro di Carlo Lucarelli, pubblicato nel 1990 dalla famosa casa editrice di Palermo, in cui compare un personaggio che da tempo ha conquistato il cuore e la mente di migliaia di lettori: il commissario De Luca. In questo potente romanzo d’esordio, riproposto per i tipi di Einaudi Stile Libero, che ha guadagnato la reputazione di genuino classico e perfetto gioiello di narrativa breve, ci troviamo in Italia nell’aprile del 1945, ai titoli di coda della Seconda guerra mondiale (fa un certo effetto ripensarci proprio quando in televisione sfilano le immagini truci e cruente dei bombardamenti a Kiev). Il commissario De Luca vorrebbe slegarsi dal fardello di un passato nella polizia politica e indaga sui crimini comuni che in tempi di dissoluzione di un regime vengono considerati meno importanti. 

Come da manuale del giallo le cose non vanno sempre come ci si aspetta. Nulla è scontato, ma le rivelazioni che la trama svela nel corso della storia potrebbero condurci in strade parallele e diverse tra loro. È compito del lettore scoprirlo attraverso le poco più di cento pagine che si divorano avide e che fanno intuire lo straordinario talento di uno dei massimi esponenti della narrativa di genere in Italia. Il malinconico cinismo di De Luca, la disillusione costante nei confronti della inadeguatezza della realtà, è un mantra che affligge da secoli coloro che sono alla disperata ricerca di una pace interiore (ed esterna) che sembra voler sfuggire a ogni tentativo disperato di afferrarla.

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